Limonov

La vicenda parte con un coro tragico e silenzioso, quello dei martiri della strage al teatro Dubrovka, nel 2002: terroristi ceceni presero in ostaggio centinaia di spettatori russi e Putin non ebbe pietà, falcidiando col gas colpevoli e vittime. Qualche anno dopo, Emmanuel Carrère si trova per lavoro in mezzo a certa dissidenza russa che si raduna a commemorare quegli innocenti. E’ lì che incrocia lo sguardo di Eduard Limonov e in lui si risveglia la vocazione che gli ha già consentito di calarsi nei panni di altri viventi e assumerne i destini in forma narrativa. Era accaduto soprattutto con L’avversario, ma ora la cosa si fa morbosa e universale con questo affresco che dipinge la vita ineffabile di una mitologia vivente. Limonov è il canto a volte omerico e altre disincantato e critico di un’esistenza che ha dell’eccezionale. Ucraino di nascita, Eduard Limonov è stato teppista di quartiere in una squallida provincia, poeta privo di successo ma non di astio nei confronti del più celebre Brodskij (un’ossessione tra le moltissime che nutre), emigrato negli Usa in qualità di giornalista e homeless e maggiordomo e poi scrittore, autore di culto in una Parigi aristocratica e beghina, fino ad addivenire il controverso Limonov che conoscono i russi oggi. Cioè un uomo che ha combattuto in Bosnia, fondato il partito rossobruno dei nazibolscevichi, è un narratore adulato da masse significative ed è stato sfiorato dall’ala della Storia in occasione della rivoluzione “democratica” capitanata da Eltsin. Carrère segue compartecipe la partita che Limonov si gioca con l’esistenza, in un confronto duro che non risparmia spaventosa povertà, amori disperatissimi, voracità e menefreghismo, santità e rancore, ambizione e pietà. E’ come se, stendendo questa biografia per nulla romanzata (la vita di Limonov è un romanzo), Carrère avesse nuovamente trovato il punto di condensazione di tutta l’epica letteraria, da cui lui e il suo alter ego sono ammorbati. Curiosare in una vita p